L’assoluzione di Berlusconi costringe Meloni a occuparsi di giustizia (auguri) - Linkiesta.it

2023-02-22 18:43:31 By : Ms. Sherly Woo

Con l’assoluzione di Silvio Berlusconi nel processo Ruby ter – il fatto non sussiste secondo il tribunale di Milano – torna il film di una storia giudiziaria diventata la più cruenta battaglia politica che ha connotato la cosiddetta Seconda Repubblica. Una vicenda giudiziaria iniziata quasi 30 anni fa, con il primo avviso di garanzia che il Cavaliere aveva ricevuto a Napoli mentre faceva gli onori di casa ai coniugi Clinton nelle vesti di presidente del Consiglio, dopo aver clamorosamente vinto nel 1994. È passato così tanto tempo che sembra di rivedere immagini in bianco in nero del violento scontro tra centrodestra e centrosinistra, all’ombra del braccio di ferro tra nuovo potere politico e le toghe rosse. 

Lui, che ha visto passare sul palcoscenico italiano e internazionale, vagonate di presidenti e capi di Stato in Italia e all’estero, è ancora tra noi: il caso politico più longevo dell’orbe terracqueo. Un personaggio non più centrale (in cassaforte non ha più quella valanga di voti di una volta), tuttavia dall’ottuagenario Berlusconi bisogna passare, in un modo o nell’altro.

Il Terzo Polo cerca di ereditare il consenso dei moderati che votano Forza Italia. Il Partito Democratico, a forza di additarlo come il diavolo travestito da caimano, si è tante volte rotto le ossa. I Cinque Stelle lo hanno usato come il peggiore simbolo della casta per il loro exploit elettorale iniziale.

Giorgia Meloni, per non morire nel Partito delle libertà e non fare la fine di Gianfranco Fini, ha fondato Fratelli d’Italia: abbiamo visto dove è finita (a Palazzo Chigi) dieci anni dopo. Matteo Salvini si è illuso di ereditarne la leadership del centrodestra e si trova a fare il cespuglione della presidente del Consiglio. 

Ora, nella spasmodica attesa di leggere le memorie di Karima el Mahroug contenute nel libro che Ruby Rubacuori, la “nipote” di Mubarak, presenta oggi ai giornalisti, la zuffa politica replica vecchi cliché e schieramenti del ventennio berlusconiano. Da una parte chi distingue la questione giudiziaria da quella morale di un ex premier che, tra un G8 e un Consiglio dei ministri, per rilassarsi organizzava “cene eleganti” con le olgettine, anche minorenni. 

Dall’altra chi chiede una commissione d’inchiesta sull’uso politico della magistratura, sulle «feroci battaglie giudiziarie usate come arma» per abbattere il Cavaliere. Un’inchiesta che teoricamente dovrebbe indagare pure sui tentativi da parte di alcuni Pm di trascinare Berlusconi nel fango mafioso, nelle oscure vicende bombarole degli anni Novanta del secolo scorso che accompagnarono Mani Pulite, la fine dei partiti della Prima Repubblica e la nascita di Forza Italia dall’ossatura di Publitalia guidata da Marcello Dell’Utri. 

La presidente del Consiglio Meloni non ha alcuna intenzione di imbarcarsi in una commissione d’inchiesta in questo momento. Meglio limitarsi ad applaudire, congratularsi per la notizia che rende felice l’alleato scomodo ( sono ancora vive le parole di Berlusconi su «questo signore», alias Zelensky, che lui non incontrerebbe mai, mentre lei sta organizzando il viaggio a Kyjiv). Per Meloni l’assoluzione è, anzi era un enorme sollievo: gestire un Berlusconi condannato, dopo le assurde parole su presidente ucraino, sarebbe stato veramente difficile. 

Niente commissione d’inchiesta. «Sarebbe una boutade – fanno sapere i suoi fedelissimi – un asso di bastoni lanciato sull’onda emotiva dell’assoluzione». Per i meloniani non bisogna fare di «tutta un’erba un fascio: il 90 per cento dei magistrati fanno bene il loro lavoro». Del resto la presidente del Consiglio ha fatto la sua parte alla vigilia della sentenza di assoluzione, ritirando la costituzione di parte civile dello Stato proprio nel processo Ruby ter.

Vedremo quando resisterà Meloni e quanto insisteranno i parlamentari azzurri nella richiesta della commissione d’inchiesta che avrebbe l’effetto di esacerbare gli animi con la magistratura. E con il Quirinale. Darebbe ancora più fiato, come in un incomprensibile remake, alle trombe dei berlusconiani che già suonano la carica contro la gogna politica, mediatica e giudiziaria subita dal loro leader. 

Più difficile che la presidente del Consiglio possa resistere all’accelerazione sulla riforma della giustizia voluta anche dal ministro Carlo Nordio. L’assoluzione del Cavaliere – «la centotrentacinquesima assoluzione», come fa notare Giorgio Mulė – riporta questa riforma fortemente all’ordine del giorno. Licia Ronzulli cavalca il momento e sostiene: è l’ora di «una profonda e strutturale riforma della giustizia per la tutela di tutti i cittadini, anche di quelli che non hanno le possibilità e gli strumenti per difendersi». Già, appunto: non bisogna dimenticare che non tutti possono permettersi gli avvocati della Real Casa Arcore. 

Questa assoluzione cambia la narrazione della vicenda processuale e anche quella politica di Berlusconi. Proprio all’indomani del risultato elettorale delle regionali che ha visto Forza Italia galleggiare e oscurare il suo declino con la vittoria netta dei candidati del centrodestra. Questa nuova narrazione serve alle truppe berlusconiane per rinvigorirsi nell’illusione di dare smalto al vecchio leader e di farlo tornare centrale nella maggioranza. Un’altra tappa nel lungo percorso di riabilitazione personale e politico dopo il ritorno al Senato dal quale Berlusconi era decaduto per l’interdizione dai pubblici uffici in seguito alla condanna per frode fiscale. 

Meloni spera di avere un alleato più rilassato, meno ingombrante. Un assist, tra l’altro, lo ha ricevuto da Manfred Weber, con il quale ha un patto per governare l’Europa dopo le europee del 2024. Weber ha infatti sconfessato le frasi di Berlusconi su Zelensky. 

Per lei sarà difficile collocare il Cavaliere nella galleria dei busti marmorei dei padri della Patria. Negargli la commissione d’inchiesta sull’uso politico, per il signore di Arcore è un affronto. Questo è un punto che l’ex presidente del Consiglio sente più di ogni altra cosa perché deve lavare il «fango e i danni politici» subiti. E se non lo può fare con questa maggioranza, mentre le opposizioni sono in disarmo, non avrà altre possibilità in un futuro che per lui si restringe.

Entra nel Club, sostieni Linkiesta

Linkiesta.it S.r.l. Newsroom: Via Ripamonti 1/3 – 20122 Milano Sede Legale: Via Brera 8 – 20121 Milano Numero di partita IVA e numero d’iscrizione al Registro Imprese 07149220969 del Registro delle Imprese di Milano Registrazione presso il Tribunale di Milano, n. 293 del 26 Maggio 2010