Prima Ora

2023-02-22 18:45:27 By : Mr. yi li

Buongiorno. A un anno meno un mese dall’aggressione russa , la guerra in Ucraina è forse a un momento di svolta. Non sul campo, non ancora: ma l’annuncio che Germania e Stati Uniti forniranno i carri armati tanto attesi da Kiev significa che il Paese aggredito avrà molte più possibilità di reggere la prevista offensiva russa di primavera. L’Italia, da parte sua, ha rinnovato il suo sostegno militare all’Ucraina con un voto compatto del Parlamento, in cui spicca il no dei 5 Stelle.

E poi: lo sciopero dei benzinai iniziato ieri, la prima (mini)frenata della popolarità di Giorgia Meloni , le nomination per gli Oscar , il crollo del Milan . E le altre cose da sapere oggi.

Benvenuti alla Prima Ora di mercoledì 25 gennaio .

Se ne parla da mesi: Roma (l’Occidente) ne discuteva mentre gli appelli di Sagunto (l’Ucraina) assumevano col tempo toni sempre più drammatici. Alla fine, la svolta è arrivata: Kiev avrà i carri armati. Punto per punto :

Il sì di Berlino (e Washington) Lo hanno preannunciato due grandi giornali (Wall Street Journal e Der Spiegel) con la concomitanza che chiedevano i tedeschi. Il cancelliere Scholz, infatti, non se la sentiva di compiere un passo del genere senza la copertura degli Stati Uniti . E dunque: l’Ucraina avrà «un numero significativo» di carri Abrams americani e almeno una compagnia (ovvero 14 pezzi) di Leopard tedeschi. In più, Berlino autorizzerà i governi a cui ne ha già venduti — a cominciare da quello polacco — a cederli all’Ucraina. Perché è importante Perché si tratta, semplicemente, di armi che possono rivelarsi decisive negli equilibri del conflitto. Come scrive Paolo Valentino, «secondo gli esperti militari, una volta sul teatro del conflitto, i carri armati di fabbricazione tedesca darebbero alle forze ucraine una nuova capacità offensiva, mettendole in grado di bucare le difese russe e riprendere la loro avanzata ». Ma cos’hanno di speciale i tank tedeschi? Il punto è che sono perfino migliori di quelli Usa : «A parità di potenza di fuoco, sono più leggeri, più veloci, più facili da manovrare e da rifornire ». In più, c’è il vantaggio organizzativo che spiegano Andrea Marinelli e Guido Olimpio: «Essendo in dotazione a 13 Paesi europei hanno una riserva consistente e scorte di munizioni ». Anche per questo gli strateghi Usa erano riluttanti alla cessione degli Abrams: meglio per Kiev un arsenale meno diversificato possibile, era la tesi. Qual era la ragione politica dell’esitazione? Sia da parte americana sia da parte tedesca, c’era — e c’è — il timore di un salto di qualità del conflitto, con una risposta rabbiosa dei russi che finisca per coinvolgere più direttamente l’Occidente . Da parte della Germania, in più c’è il peso della Storia : i 25 milioni di sovietici morti per mano tedesca soltanto 80 anni fa, i decenni di Ostpolitik (la politica di riconciliazione con Mosca) andati in frantumi per le scelte scellerate di Putin, la difficile riconversione del Paese verso atteggiamenti più bellicosi. È giusto allora criticare la Germania? Fino a un certo punto. Intanto, ricorda Paolo, «è il Paese che ha fornito più aiuti militari e finanziari all’Ucraina dopo gli Stati Uniti ». Poi, al di là degli errori comunicativi di Scholz, «a suo merito va il fatto di aver tenuto il punto su una questione centrale: per la sua Storia, il suo ruolo e il suo peso, la Germania non può e non deve decidere da sola ma sempre insieme agli alleati sulle questioni della pace e della guerra. Si può essere d’accordo o meno, ma è un argomento solido e fondato ».

Zelensky, a sorpresa (ma, anche qui, fino a un certo punto) ha anche un fronte interno. Punto per punto :

La purga anti corruzione Sembra incredibile che in un Paese stremato da quasi un anno di guerra ci siano dirigenti che hanno approfittato della situazione . Sta di fatto che nel giro di 48 ore, tra arresti e dimissioni, sono saltati il viceministro delle Infrastrutture Vasyl Lozynsky , quello della Comunicazioni Vyacheslav Negoda e quello dei Territori Ivan Lukerya , oltre al vice Procuratore generale dello Stato Oleksiy Symonenko al numero due dell’ufficio presidenziale Kyrylo Tymoshenko . Di cosa sono accusati? Il caso più grave è quello di Lozynsky, colto, racconta Andrea Nicastro, «mentre incassava una mazzetta da 400 mila dollari per agevolare la firma di contratti per la riparazione del sistema elettrico ». Lascia basiti l’ipotesi che sia stata fatta la cresta anche sull’acquisto «di generatori utilissimi a sopravvivere ai blackout causati dagli attacchi missilistici russi, ma pagati a settembre a prezzi gonfiati ». Symonenko è «chiacchierato per delle costosissime vacanze estive in Spagna ». Ma il caso politicamente più spinoso è quello di Tymoshenko , che fa parte del cerchio magico di Zelensky. Lo chiamano «il padrino delle regioni » e gira in Porsche elettrica. Come ha reagito il presidente? Con un divieto di espatrio per quasi tutti i funzionari pubblici, nel timore che scappino con i soldi . E, come suo costume, con un video-selfie: «Voglio essere chiaro, non ci sarà un ritorno alle vecchie abitudini ». Un Paese ultracorrotto Le vecchie abitudini sono le mazzette. L’Ucraina, ricorda Andrea, «era prima in Europa per livello di corruzione e il suo cammino verso l’Unione europea è sempre stato condizionato alla soluzione del problema attraverso nuove leggi e una magistratura più autonoma ». I Paesi donatori temono un assalto agli aiuti e chiedono un ufficio anti corruzione totalmente indipendente.

Sondaggi, giustizia, elezioni regionali, congressi: i temi non mancano mai. Punto per punto :

Il voto sulle armi a Kiev È un tema di politica estera — ne va della nostra credibilità come Paese cardine del sistema di valori e di interessi occidentale — ma anche di politica interna . E qui il centrodestra segna un altro punto: ha votato compatto — nonostante i noti mal di pancia dei vecchi filoputiniani Berlusconi e Salvini — per il sesto invio di materiale bellico all’Ucraina . Il «sì» vale fino al 31 dicembre ed è stato espresso anche da Pd e Terzo polo . Invece, l’asse inclinato a sinistra predicato da un’ampia parte dei democratici si sgretola su un tema vitale : il partito di Conte — che da premier e anche dopo votò sempre per gli aiuti a Kiev — ha votato no e due deputati di Articolo 1 non hanno partecipato al voto. Il monito di Mattarella sulla giustizia Nel discorso di commiato ai componenti uscenti del Consiglio superiore della magistratura , il presidente della Repubblica ha ricordato che a quell’organo spetta il compito di «assicurare l’indipendenza della magistratura , pilastro della nostra democrazia e sancita dalla Costituzione ». Principi scontati? Mica tanto, dato il momento, con il ministro Nordio che spinge per riforme radicali. Nessuna «censura preventiva », spiega Marzio Breda, ma al governo Mattarella «ribadisce tuttavia alcuni principi-base. Interpretabili, per la nettezza con cui li enuncia, come limiti invalicabili. Pena una lesione dell’“autonomia della giurisdizione ” ». L’incontro tra Meloni e Nordio È in programma oggi ed è importante, dopo le polemiche che negli ultimi giorni hanno avuto per protagonista il ministro, che in coincidenza con l’arresto del boss Matteo Messina Denaro ha rilanciato i suoi progetti, in particolare un drastico ridimensionamento delle intercettazioni e la separazione delle carriere dei magistrati. La premier assicura che con Nordio non ha alcun problema, ma gli chiederà più cautela e meno esternazioni . Di certo, i nodi per il governo non mancheranno: i limiti alle intercettazioni ammessi da Fratelli d’Italia riguardano più che altro la loro divulgazione, e Meloni non vuole in questo momento uno scontro con la magistratura . Ma Berlusconi, intervistato da Paola Di Caro, preme: «La riforma della giustizia è una delle ragioni per cui è nato questo governo ». Il sondaggio di Pagnoncelli Per la prima volta i vincitori del 25 settembre perdono consensi : il gradimento del governo scende di 3 punti (a 51) e quello della presidente del Consiglio di 5 (a 53). Per il nostro sondaggista, «sarebbe azzardato sostenere che si tratti della fine della “luna di miele”. Piuttosto si tratta di una battuta d’arresto ». Quanto ai partiti, Fratelli d’Italia resta largamente il primo con il 30,5%, ma registra un primo calo (-1,2), mentre sembrano in ripresa la Lega all’8,3% (+0,5%) e Forza Italia al 6,8% (+0,6%). Nell’opposizione, il M5S si porta al 18,2% (+0,6%), e il Pd «sembra aver arrestato il trend negativo » attestandosi al 16,4%.Poi: Terzo polo 7,1% e Alleanza Verdi-Sinistra italiana-Reti civiche 4,1%. In sostanza, la coalizione meloniana ha lo 0,2% in meno dei partiti anti meloniani messi tutti insieme. Il problema degli anti meloniani è che non stanno tutti insieme . Regionali Lombardia Dopo l’intervista al candidato del centrosinistra Pierfrancesco Majorino, che chiede il voto utile agli elettori del Terzo polo, quella al governatore uscente Attilio Fontana, ricandidato dal centrodestra, che accusa Letizia Moratti (sua ex assessora, ora candidata del Terzo polo) per le lunghe liste d’attesa nella sanità.

Lo sciopero dei benzinai È iniziato ieri alle 19. Una delle tre associazioni interessate, la Faib Confesercenti, lo terminerà oggi, dopo 24 ore, mentre le altre due — Fegica e Figisc Confcommercio —l’hanno confermato fino alle 19 di domani. Il governo, per spegnere la protesta, ha ridotto da un massimo di 6 mila a 800 euro le multe per chi non espone il cartello con il prezzo medio dei carburanti, ma non è bastato. Nuove norme e sanzioni umiliano una categoria che si è sentita messa alla gogna con l’accusa di speculazione , dopo che l’aumento dei prezzi era stato causato dalla scelta del governo di non rinnovare il taglio delle accise. Da notare che Pagnoncelli segnala questa vicenda tra le ragioni del mini-calo di Meloni. Il no di Rutte al fondo sovrano Rutte è Mark Rutte , premier olandese, che come tutti i premier olandesi da 70 anni ha posizioni contrastanti con gli interessi italiani (è una vecchia legge della nostra diplomazia). L’uomo che non voleva il Recovery Fund contro la pandemia ora non vuole un fondo sovrano europeo che risponda al maxi piano americano di sussidi alle imprese per la transizione verde: solo aiuti di Stato, «ma mirati». Lo ha intervistato Francesca Basso. Il Qatargate Perché la magistratura belga ha rinunciato alla consegna della moglie e della figlia di Antonio Panzeri , uomo chiave dell’inchiesta per la presunta corruzione di eurodeputati ed ex eurodeputati socialisti da parte di Qatar e Marocco, spiegato da Giuseppe Guastella. Un’altra strage in California Dopo gli 11 morti di sabato a Monterey, altri sette ieri nella contea di San Mateo, a sud di San Francisco. Entrambe le stragi hanno avuto in gran parte vittime di origine cinese e killer di origine asiatica. Il presidente Biden ha lanciato un appello al Congresso perché «agisca rapidamente e porti al mio tavolo l’Assault Weapons Ban », la legge che mette al bando le armi d’assalto. L’incubo dei De Cecco Quattro banditi che entrano in casa, minacciano moglie e figlia e costringono lui ad aprire la cassaforte: è successo alla famiglia di Nino De Cecco , azionista di riferimento della nota azienda della pasta, nella sua villa di Montesilvano (Pescara). «Sono stato molto calmo e per fortuna è andata bene. Gli ho dato qualsiasi cosa puntando a salvaguardare la famiglia. Il mio obiettivo più importante era quello ». La cronaca di Fulvio Fiano. Il testamento di Gina Lollobrigida Metà al figlio, metà al factotum Piazzolla: il racconto di Elvira Serra. Le nomination per gli Oscar Everything Everywhere All at Once , il «dramedy» di Daniel Kwan e Daniel Scheinert (ormai noti come «i Daniels ») fa incetta di candidature — 11 — e parte come strafavorito rispetto ai Fabelmans di Steven Spielberg ma soprattutto agli Spiriti dell’Isola e a Niente di nuovo sul Fronte Occidentale . Alice Rohrwacher , con il suo cortometraggio live action Le Pupille , e Aldo Signoretti, del team per il make up di Elvis , sono gli italiani entrati nelle nomination. Qui il quadro completo di Stefania Ulivi. Il crollo del Milan È clamoroso il 4-0 con cui una Lazio splendidamente sarriana ha annientato i campioni d’Italia: la cronaca di Carlos Passerini. Paolo Maldini invita alla calma: «Siamo ancora secondi ». Però a 12 punti dal Napoli : 38 contro 50. La Lazio raggiunge Roma e Inter a 37.

L’onore restituito agli alpini ebrei Ma anche la scelta del giorno sbagliato: il racconto di Gian Antonio Stella. L’intervista a Caterina Caselli Di per sé è uno scoop, perché questa icona della musica italiana parla pochissimo. A Elvira Serra racconta il dolore per la morte del marito Piero Sugar , nel giugno scorso (la trovate sul sito e nelle pagine di Cronaca). «Il George Best italiano» L’ex calciatore Gianfranco Zigoni si è raccontato ad Andrea Pasqualetto (sempre sul sito e nelle pagine di Cronaca). Il podcast Nella puntata di oggi di Corriere Daily , Francesco Giambertone racconta il ritorno della questione ambientale — e quindi di Greta Thunberg — al centro del dibattito tedesco ed europeo. Michela Rovelli spiega invece perché il giacimento di terre rare scoperto a Kiruna , in Svezia, potrebbe essere una svolta (anche green) per l’Europa: potete ascoltarli qui.

Grazie per aver letto Prima Ora , e buon mercoledì!

(gmercuri@rcs.it, langelini@rcs.it, etebano@rcs.it, atrocino@rcs.it; nella foto di David Hecker per Getty, il cancelliere tedesco Olaf Scholz passa sotto un carrarmato Leopard durante una visita al centro di addestramento della Bubdesweher a Ostenholz, il 17 ottobre)

La memoria è come un giardino. Va curata. Altrimenti si ricoprirà di erbacce . E i fiori dei giusti scompariranno. Divorati. Quei fiori sono persone che hanno lottato anche per la nostra libertà o hanno pagato, con la vita, per la sola colpa di essere nati. Quello che siamo noi oggi lo dobbiamo a loro . Se li dimenticassimo morirebbero una seconda volta. Ma, senza accorgercene, cominceremmo anche noi — fortunati cittadini di una democrazia e di uno Stato di diritto — a svuotarci di valori, a dare poca importanza al coraggio delle idee, al sacrificio personale per un bene collettivo, a impoverirci nella nebbia storica dei fatti. Inerti. Privi di vaccini per difenderci da nuove barbarie.

Liliana Segre è infaticabile nella sua testimonianza della Shoah . Una tragedia immane nella quale alcuni dei nostri antenati furono anche complici , al di là del racconto rassicurante, e a tratti eroico, degli «italiani brava gente». Ma le pagine buie le abbiamo rimosse. Per convenienza. Chissà che non ci fosse anche qualche nostro parente — che abbiamo certamente e giustamente amato — o loro amici, da quella parte? Magari nello spingere i deportati, ebrei, oppositori del regime fascista, sui vagoni della morte; oppure facendo solo finta di non vedere, adattandosi. Chissà come ci saremmo comportati tutti noi nel 1938 davanti alla vergogna delle leggi razziali?

I camion che dal carcere di San Vittore — con il loro carico di vite, tra cui quella di Liliana Segre — diretti verso la Stazione Centrale, sfilarono in una Milano con le persiane chiuse . Ignara, impaurita. Per quasi tutto il Dopoguerra, fino alla soglia di questo millennio, il sotterraneo della Stazione Centrale di Milano — che vide l’orrore della trasformazione delle persone in pezzi numerati, in oggetti di scarto — era ai nostri occhi un semplice deposito postale. Anonimo nella sua utilità. Nella città medaglia d’oro della Resistenza, pochissimi sapevano quello che era accaduto, lì nel cuore di Milano , sotto il piano dei binari calpestato in tanti viaggi di lavoro, svago, sogni e speranze. Da tutti. Nel nostro comodo oblio quei concittadini, che non erano più tornati, morivano ancora una volta nell’invisibilità della loro storia di ingiuste sofferenze.

La giornata della Memoria è stata istituita solo nel 2000 . Se dovesse trasformarsi in un esercizio rituale, di semplice buona educazione, non avrebbe senso. Ed è anche per questo che dobbiamo essere grati alla senatrice Segre, la più anziana signora d’Europa a essere costretta a girare, perché minacciata, con la scorta dei carabinieri. (Qui l’editoriale completo)

Finché continuerà la guerra della Russia contro l’Ucraina, sarà difficile che il governo di Giorgia Meloni possa entrare in crisi o essere sostituito . La prova di compattezza in politica estera data anche ieri col rinnovo degli aiuti militari al governo di Kiev fino al dicembre del 2023 rappresenta una garanzia di sopravvivenza : anche oltre i numeri parlamentari schiaccianti.

Il voto contrario del M5S e dell’estrema sinistra, insieme a quello di un parlamentare del Pd, è solo la conferma di come oggi non esista alternativa alla maggioranza di destra . Magari sarà esagerato sostenere, come ha fatto ieri il capo della Lega, Matteo Salvini, che «in questi cinque anni il Paese lo prendiamo per mano. Non mi sposto nemmeno se arrivano i caschi blu dell’Onu». Ma la prospettiva di durare almeno fino alle Europee del 2024 non sembra inverosimile.

Il problema, semmai, è in quali condizioni arrivarci . L’ipotesi che questi primi mesi siano stati di rodaggio non va esclusa a priori, per quanto possa apparire consolatoria. Il tema è quando e su che cosa la coalizione guidata dalla premier di FdI comincerà a fare sul serio . Non basta sostenere che in Consiglio dei ministri le cose procedono in piena armonia, come fanno alcuni esponenti del governo; né liquidare come malignità avversarie le perplessità disseminate da alcune proposte di riforma della giustizia del Guardasigilli, Carlo Nordio, voluto e difeso da Meloni. I leghisti giurano che non è vera una loro freddezza nei confronti del ministro, apprezzato invece dai berlusconiani con un trasporto che insospettisce e finisce per danneggiarlo. Né si può ignorare il modo in cui il partito d’opposizione di Matteo Renzi tesse le lodi di Nordio perché sarebbe «l’unico che può cambiare davvero» la magistratura. Il tema è quello di rendere meno contraddittori i messaggi all’opinione pubblica . L’idea di accentrare la comunicazione per evitare che ognuno vada per proprio conto, seppure comprensibile, appare di difficile realizzazione. E non solo per inesperienza o smania di protagonismo, che pure pesano.

La sensazione è che nella coalizione convivano interessi non sempre coincidenti , ed esasperati sia da scadenze elettorali come le Regionali del 12 febbraio; sia dall’incrocio con temi incandescenti. Si tratti dei rapporti tra politica e magistratura, o di scelte «popolari» come il prezzo della benzina, il cortocircuito è in agguato . Amalgamare spinte divergenti diventa una sfida anche per una premier come Giorgia Meloni, tuttora forte di consensi intorno al 30 per cento; e apprezzata in Europa per avere resistito alle pressioni più demagogiche provenienti dalla sua maggioranza, tenendo la barra dritta sui conti pubblici. Ora si aspetta che questa capacità di resistenza si trasformi in una strategia di rilancio del Paese , senza tentazioni di scaricare magari sulla Costituzione la difficoltà di governare.

Il consigliere per la Sicurezza americana Jake Sullivan propone di trasformare il G7 in una vera istituzione o organizzazione internazionale, da affiancare alla Nato . L’idea sta circolando, in via riservata, tra i governi dei sette Paesi più industrializzati. Oltre agli Stati Uniti, l’elenco comprende Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia e Regno Unito . Il gruppo si riunisce in diversi formati durante il corso dell’anno, per poi culminare nel summit dei capi di Stato e di governo.

Fu il presidente francese Valéry Giscard d’Estaing a invitare, per la prima volta, i leader dei Grandi a Rambouillet, nel 1975, per esaminare gli effetti economici dello shock petrolifero del 1973-74. Da allora e per quasi cinquant’anni, lo spirito dell’appuntamento è rimasto sostanzialmente lo stesso. Atmosfera informale, statisti-e scravattati o in abbigliamento casual , discussioni aperte, talvolta anche brutali, come accadeva, per esempio, durante la stagione di Donald Trump alla Casa Bianca. Il G7, di norma, si conclude con una semplice dichiarazione di intenti, certamente rilevante sul piano politico, ma non vincolante sul piano giuridico.

L’Amministrazione Biden vorrebbe cambiare passo , sulla scia dell’ultimo anno di esperienza. L’attacco russo all’Ucraina ha sconvolto i piani geopolitici del presidente. Ancora pochi mesi prima del 24 febbraio 2022, Biden si proponeva di «stabilizzare» il rapporto con Vladimir Putin, offrendo un accordo a largo raggio sulle testate nucleari e sugli armamenti convenzionali. Il corollario di questa posizione era il graduale alleggerimento del presidio militare americano in Europa. (Qui l’articolo completo)

Anch’io ho amato l’ultimo film di Steven Spielberg. È un’opera autobiografica, incentrata sulla sua passione per il cinema , e questo rischia di renderla meno interessante per le nuove generazioni: nelle loro vite il cinema ha un posto molto meno importante di quello che ha avuto nelle nostre. Non a caso il film non è andato benissimo al botteghino . Eppure ho trovato bellissime, quasi commoventi le scene in cui il giovane Fabelman (controfigura del giovane Spielberg) costruisce un western artigianale con piccoli trucchi che però rendono bene la magia del cinema (a proposito, questa moda di utilizzare solo una parte dello schermo, come accade per altre pellicole ora nelle sale come Le otto montagne e Godland , mi pare poco amichevole verso lo spettatore: il segreto del cinema è appunto il grande schermo , oltre al buio; è il coinvolgimento totale dei sensi e delle emozioni di chi guarda).

Meraviglioso il finale, con la teoria dell’orizzonte , nei quadri come nei film: sempre in alto o in basso; mai banalmente davanti. Ma lei, gentile signor Masino, pone un altro problema: l’antisemitismo. Un fenomeno antico e non ancora sconfitto. Che certo ha attecchito anche in America, crogiolo di etnie e di religioni ma a lungo segnata dalla storica egemonia dei Wasp (bianchi, anglosassoni, protestanti). Nella sua ultima opera Spielberg riduce l’antisemitismo a qualche battuta antipatica , oltre che alla vicenda esilarante della giovane e bella compagna che tenta di convertirlo, per poi lasciarlo bruscamente. La Germania hitleriana, e purtroppo pure l’Italia tra il 1938 e il 1945, sono un’altra storia. (Risposta al lettore Stefano Masino; qui la raccolta di «Lo dico al Corriere»)

Non si riesce a credere che un neonato possa ancora morire come è successo in un ospedale di Roma, schiacciato sotto il peso della madre addormentata , e solo perché non c’è stato modo di far riposare la donna dopo diciassette ore di travaglio e due notti in bianco, affidando il piccolo a un’infermiera o al nido. Lei sostiene di averlo chiesto più volte, ma di essersi sempre sentita rispondere: «Non è possibile ». E perché? L’indagine darà una risposta, ma nell’attesa ne azzardo una io: perché, nonostante le promesse della politica durante gli anni del Covid, nella sanità continuano a mancare il personale e le strutture .

Dal bancomat ai tanti altri self-service di cui è punteggiata la nostra vita quotidiana, l’economia moderna fa passare per progresso il trasferimento di certe funzioni dai lavoratori ai clienti, che oltre a svolgerle gratis dovrebbero pure sentirsi delle scamorze se falliscono. Non voglio dire che il «rooming-in » (il solito «inglesorum» da colonizzati per definire una madre e un figlio che dormono insieme) sia una trovata per risparmiare denaro. Se gli esperti affermano che porta benefici al neonato, sarà sicuramente così. Però non esistono teoremi applicabili indiscriminatamente a ogni situazione e a ogni persona. Non si può costringere una donna che ha appena partorito a fare qualcosa che non si sente di fare . Una madre ha tutto il diritto di essere stanca e di chiedere e ricevere aiuto, senza venire considerata un po’ meno madre per questo. (Qui la raccolta dei Caffè)