Gianni Agnelli, vent’anni fa l’addio all’Avvocato - alVolante.it

2023-02-22 18:22:08 By : Mr. JAMES LIU

VENT’ANNI SENZA L’AVVOCATO - Le ville a Montecarlo e in Costa Azzurra, gli appartamenti a New York, con le pareti tappezzate di dipinti che di solito si ammirano nei più prestigiosi musei d’arte al  mondo. Le automobili, uniche, mai banali e sempre “condite” da guizzi aristocratici, sia che fossero le sue amate Fiat che le fuoriserie che spesso e volentieri si faceva “cucire” su misura. Come la leggendaria Ferrari “tre posti” che commissionò alla Pininfarina nel 1966 (qui la news), l’anno in cui ereditò il timone dell’impero di famiglia dal suo mentore, Vittorio valletta, il manager Professore che con la 600 e la 500 motorizzò l’Italia intera. Esistono tanti modi diversi, tante sfumature eleganti e a tratti anche molto divertenti, esattamente come il personaggio, per ricordare Gianni Agnelli: erano le 8.30 di vent’anni fa, il 24 gennaio 2003, quando l’Avvocato - che tutti chiamavano e continuano a chiamare così sebbene, dopo la laurea in giurisprudenza, avvocato non lo diventò mai - esalò l’ultimo respiro nella sua Torino, ponendo fine a una lunga malattia.

ANDAVA SEMPRE AL MASSIMO - Neanche due mesi più tardi, il 12 marzo, Gianni Agnelli avrebbe compiuto 82 anni. Ma per come si è svolta, la parabola dell’Avvocato in questo mondo resiste a ogni considerazione di carattere anagrafico. La sua è stata un’esistenza vissuta sempre al massimo, tra donne indimenticabili, elicotteri, velieri da favola e, naturalmente, supercar da mille e una notte. Che guidava quasi sempre “col coltello tra i denti”, assecondando le sue doti di buon guidatore, raccontano quelli che l’hanno conosciuto bene. A volte anche a costo di prendersi rischi apparentemente incomprensibili, per un aristocratico capitano d’industria. Come quella volta in cui, nel 1952, uscì rovinosamente di strada mentre correva veloce con la sua Ferrari tra i tornanti sopra Montecarlo, ferendosi una gamba che non tornò mai più quella di prima.

UN’ESISTENZA IN BILICO TRA GIOIE E DOLORI - Per discendenza, la vita di Gianni Agnelli era stata baciata dalla fortuna incalcolabile di un impero industriale che, prima dei grandi cambiamenti politici, sociali ed economici che nelle tre decadi della sua reggenza avrebbero rivoluzionato per sempre il business dell’auto, pareva inscalfibile. Ma la sua fu anche una vita segnata da terribili drammi familiari: suo padre morì in un tragico incidente nautico quando Gianni aveva appena di 13 anni e il figlio Edoardo in circostanze mai del tutto chiarite nel 2000, a 46 anni. Solo tre anni prima, la famiglia Agnelli aveva detto addio a Giovannino, il primogenito di Umberto. Nel nipote, primogenito di suo fratello, Gianni aveva individuato l’erede più adatto per guidare l’azienda, infliggendo al suo Edoardo una delusione che quel ragazzo così fragile e sensibile nell’animo non sarebbe mai riuscito a superare. 

LA SUA FIAT, UN VERO COLOSSO - Durante il suo “regno”, Gianni Agnelli ha guidato la Fiat in acque a tratti serene e a tratti burrascose, attraversando gli anni favolosi e spensierati della “Dolce vita” e quelli bui del terrorismo. Con l’annessione di fabbriche-gioiello come la Ferrari, la Lancia e l’Alfa Romeo, a cavallo tra gli anni ’60 e ’80 del secolo scorso il Lingotto rinforzò ulteriormente la propria posizione di potenza incontrastata dell’auto in patria. E conobbe una forte espansione anche fuori dai confini nazionali, con modelli di grande successo come la 124, la 128, la Panda e la Uno (leggi qui la news per il 40° compleanno del modello e scopri qui alcune tra le pagine meno note della sua storia). 

CHISSÀ COSA DIREBBE DELL’INDUSTRIA DI OGGI… - Quando le cose cominciarono a cambiare rapidamente e in peggio, negli anni ’90, Agnelli intuì che la sua lunga “guerra di logoramento” contro le resistenze di certi suoi dirigenti legati a un modo ormai superato di fare impresa non avrebbe portato lontano. I giganti globali del settore, ormai, avevano agito con un giro d’anticipo nel “diversificare” i loro affari legati all’auto. E quando finalmente, nel 2000, la Fiat trovò un accordo con la General Motors (Detroit rilevò il 20% di Fiat Auto e, in cambio, Fiat Spa entrò con il 5,15% nel capitale di GM, diventando il primo azionista privato della casa americana), all’Avvocato dovette apparire chiaro che sarebbero giunti tempi difficili. Agnelli probabilmente non avrebbe mai accettato di vendere la Fiat, che per lui rimase fino all’ultimo una grande responsabilità, ma in cuor suo sapeva che, dopo la sua morte, presto o tardi sarebbe accaduto. Prima con il gruppo FCA, ora con Stellantis, la “sua” azienda ha cambiato volto per sempre, allentando progressivamente i giri del motore che aveva reso Torino una delle grandi capitali mondiali dell’auto e alleandosi con nuovi partner internazionali per rimanere tra le big e affrontare al meglio le sfide, i rischi e le possibilità connesse alla nuova era dell’industria automobilistica. Nella quale, forse, con lo charme unico della “erre” moscia di casa Agnelli, qualcosa da dire l’Avvocato l’avrebbe ancora…

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